
Montagna Sacra
Per il secondo anno consecutivo l’associazione culturale Art Mont Blanc, fondata da Glorianda Cipolla nel 2010, propone una raffinata mostra di arte contemporanea allestita in due baite da fiaba in Val Ferret, a pochi chilometri dal centro di Courmayeur Mont Blanc, baite già esistenti come fienili nel 1740.
Quest’anno l’evento viene organizzato in collaborazione con il FAI – Fondo Ambiente Italiano Valle d’Aosta, perché in mostra non si vedranno soltanto opere d’arte che evocano il tema della montagna sacra, ma anche inedite immagini di Walter Bonatti (1930-2011) provenienti dall’Archivio Zappelli e un video che lo vede con Cosimo Zappelli conquistare la parete Nord della Grand Jorasses nel gennaio del 1963, l’ultima del grande trittico (con Cervino ed Eiger) a opporsi strenuamente a tutti i tentativi di scalata invernale.
«Se ti è nato il gusto di scoprire – scriveva Bonatti – non potrai che sentire il bisogno di andare più in là. Al Monte Bianco sono sempre ritornato, anche dopo tanti anni e l’ho fatto come si può tornare a un padre per dialogare, con tutto l’affetto e i ricordi che un figlio cerca nei suoi genitori».
La mostra lo ricorda nell’anniversario dei cinquant’anni dalla sua leggendaria prima invernale al Cervino, compiuta dalla parete Nord, in solitaria, tra il 18 e il 22 febbraio. Agli inizi del 1965 Walter Bonatti era, a tutti gli effetti, un ex alpinista: aveva chiuso con le grandi scalate. Tutto quello che si poteva fare, Bonatti l’aveva fatto, usando gli stessi strumenti tecnici dei grandi alpinisti che lo avevano preceduto. L’unico modo, diceva lui, per misurarsi direttamente con loro, per capire se davvero egli fosse in grado di passare dove gli altri si erano fermati. Era passato, sempre. E aveva voltato pagina.
Intervistato subito dopo la mitica impresa, l’aveva dedicata all’Europa Unita, una visione che in quegli anni avevano in pochi, uomini e donne mossi dagli stessi ideali dei Padri fondatori: la pace, l’unità e la prosperità del Continente Europa.
Una visione che Walter Bonatti mette a fuoco alle tre del pomeriggio di quel 22 febbraio 1965 quando, a cinquanta metri dalla vetta, improvvisa e splendente gli appare la croce di metallo piantata alla sommità del Cervino. «Il sole che la illuminava da Sud la rendeva incandescente» scriverà in seguito. «Ne rimasi quasi abbagliato. Come ipnotizzato stesi le braccia fino a stringerla al petto. (…) Di lassù, nell’atmosfera solenne di quella notte, dall’altissimo podio quasi sospeso tra cielo e terra, mi parve di vivere un privilegio divino e il mio pensiero finalmente libero, purificato dai problemi che affliggono l’umanità quattromila metri più in basso, vagò nell’infinito, scoprendo nuove mete, nuovi ideali».
Fin dall’antichità l’uomo ritrova se stesso in cima a un monte. La vetta diventa il luogo privilegiato dell’incontro tra cielo e terra, tra divino e umano, tra il Creatore e la sua creatura. Sulle vette il tempo scorre in un modo diverso: si ha l’impressione di poterlo possedere, come un dono prezioso, che altrove si è perduto. L’azione di salire una montagna diventa, perciò, immagine di evoluzione spirituale e metafora del processo artistico. Lo stesso percorso di leggerezza e di gravità che va dall’artefice alla sua opera.
Chiamati a superare i propri limiti, l’alpinista e l’artista escono da loro stessi, in un patire supremo e in un contemplare puro.
La mostra invita il visitatore a riflettere sulla bellezza di questa sfida e sul senso ultimo della conquista. Il sentimento del sacro che ogni montagna suscita diventa miccia e infiamma le opere esposte: l’installazione permanente Bones di Richard Nonas (1936) e quella che si consumerà col tempo di Stefano Arienti (1961); la tarsia lignea di David Tremlett (1945) e la grande struttura ghiacciata Senza titolo (1986) di Pier Paolo Calzolari (1943) che, sopra una base di strati di piombo e un motore frigo, pone una colonna di brina – il bianco assoluto della purezza – e la innalza nel mezzo di un ampio rettangolo di sale nero. Di Michelangelo Pistoletto (1933) viene esposto l’Autoritratto di stelle (1973), un’opera dove una sagoma di uomo, finemente stellata – una fotografia su due trasparenti e scorrevoli pannelli di plexiglas – rievoca il Doppio come coscienza, espansione, confronto, dialogo insieme intimo e cosmico, privato ed universale, mentre Gregorio Botta (1953) propone la grande lastra di piombo verticale Nessuno resta defraudato dal cielo.
La mostra è un invito a riflettere, ma anche a mettersi in gioco, come esortava lo scrittore Rudyard Kipling: «Vai e cerca dietro alle montagne. C’è qualcosa di smarrito dietro alle montagne. È smarrito e ti aspetta. Vai a trovarlo. Vai!».
La mostra è realizzata grazie ai prestiti gentilmente concessi da:
Collezioni private, Galleria Repetto, Archivio Cosimo Zappelli